MARCO SPOTTI

DA ZEFFIRELLI A TERRY GILLIAM
TESTO DI MAURIZIO FERRARI – FOTO DI GIOVANNI MECATI

La voce è piena, anche solo parlando riesce a comunicare emozioni. Marco Spotti è un cantante lirico, un basso per la precisione, e ha calcato i palchi dei più importanti teatri d’opera del mondo e lavorato con molti dei più grandi registi e direttori d’orchestra.

Nato a Parma, terra d’elezione per il mondo dell’opera, intraprende gli studi musicali ormai ventenne e si diploma a pieni voti in canto lirico al Conservatorio Arrigo Boito. Il resto fa parte della storia moderna della lirica. L’abbiamo incontrato a casa sua, alla periferia di Parma. Una casa che mette a proprio agio, dove la modernità dell’arredamento nasconde la storia della vita di Spotti, delle sue passioni e della sua arte. I riferimenti alla musica sono ovunque, basta osservare. È una casa realizzata prestando attenzione ai particolari. Un esempio? Il caffè. Ci ha offerto un caffè, ma prima di versarlo ha inumidito e scaldato le tazzine nel forno a microonde, così da regalarci la migliore esperienza possibile. La stessa attenzione che un artista deve mette durante una performance in teatro per dare al pubblico il meglio di sé. Oggi Spotti è uno dei più quotati bassi e abbiamo approfittato dell’incontro per farci raccontare da lui un po’ del dietro le quinte. Il suo mondo ora è quello della lirica, anche se «Da giovane – ha raccontato Spotti –, influenzato dagli amici, ascoltavo altri generi. Prima di entrare in conservatorio amavo molto i Police. Ancora oggi ascolto un po’ di tutto, ma in questo periodo, forse complice questa situazione legata al Covid, non c’è nulla che mi colpisce in particolare».

“ZEFFIRELLI ERA UN PERSONAGGIO UNICO PER UN CERTO TIPO DI TEATRO, È STATO STIMOLANTE LAVORARE CON LUI, COME LO È STATO FARLO CON TERRY GILLIAM. ZEFFIRELLI ERA MANIACALE NELLA RICERCA DELLA RAPPRESENTAZIONE REALISTA, AVEVA UN APPROCCIO CINEMATOGRAFICO ANCHE A TEATRO”.

«L’opera l’abbiamo inventata qui in Italia – ha proseguito Spotti –. È un nostro patrimonio. In tutto il mondo, nei teatri d’opera si parla italiano. Un tempo era un genere popolare, destinato a tutti, e sino agli anni Ottanta c’è stata una forte attenzione. Oggi nei teatri c’è sempre pubblico, e molti sono giovani, ma è meno popolare di prima, anche se ha un linguaggio musicale e tratta tematiche di una modernità assoluta».

«L’ascolto di un’opera – ha puntualizzato l’artista parmense – non può essere fatto in modo superficiale, bisogna dedicargli attenzione, ma non è una musica difficile».

Nella sua casa ci sono molti riferimenti al Giappone, diverse bambole kokeshi sono poggiate in vari punti. Dietro non c’è il vezzo di un architetto, ma la passione di Spotti per il Paese del Sol Levante. «Nella mia via d’artista – ha raccontato – sono rimasto colpito dal Giappone. Un Paese a noi così distante, ma capace di affascinare. Appena posso ci torno. Sono molto curioso e mi piace immergermi alla scoperta dei luoghi che visito e la cultura giapponese mi ha colpito sin da subito».

Nascere e vivere in Emilia Romagna, soprattutto a Parma, significa avere con il cibo un rapporto particolare, qui la buona tavola è di casa e i continui viaggio hanno portato Spotti a confrontarsi con altre cucine: «Amo mangiare, come tutti, ma come detto sono curioso e ovunque sono andato ho mangiato i cibi locali. Non sono uno di quelli che vuole solo ristoranti italiani quando va all’estero, anche se una pizza ogni tanto fa sempre piacere».
Spotti è un padrone di casa magnifico e ha una quantità infinita di aneddoti sulla sua carriera, considerando che ha lavorato con persone come Abbado, Ettore Scola, Franco Zeffirelli, Terry Gilliam e moltissimi altri ancora. «Zeffirelli era un personaggio unico per un certo tipo di teatro, è stato stimolante lavorare con lui, come lo è stato farlo con Terry Gilliam. Zeffirelli era maniacale nella ricerca della rappresentazione realista, aveva un approccio cinematografico anche a teatro. Lavorava molto sul personaggio. Gilliam è un maniaco folle, in scena tutto doveva muoversi come una meccanismo dove gli ingranaggi erano gli stessi attori. Tutto doveva essere perfetto e lui ha dimostrato nello spettacolo che ho fatto, Benvenuto Cellini, di essere geniale e di avere delle intuizioni uniche. Ho amato lavorare con entrambi, anche se erano agli estremi».

Dalla memoria escono altri momenti, come alcuni che hanno lasciato una profonda traccia nell’anima dell’uomo Spotti: «Il luogo più particolare dove ho lavorato è stato allo stadio di Francia, ero lì per una rappresentazione dell’Aida, ma in quei giorni, era il 2001, ci fu l’attentato alle torri gemelle. Ho vissuto con molta tensione quei momenti, sia per l’impatto emotivo dell’evento sia per la paura che potesse accadere qualcosa. Era uno spettacolo che avrebbe portato allo stadio oltre 80mila persone». Ancora oggi, dopo tanti anni, la voce è rotta dall’emozione mentre ricorda questo episodio della sua vita.

Prima di accomiatarci ci siamo fatti dire quali opere devono essere ascoltate almeno una volta nella vita: «Molto Verdi e altri autori del repertorio italiano, ma anche lavori nati all’estero soprattutto tedeschi e russi. Personalmente amo molto Boris Godunov di Musorgskij». Quest’ultima è stata la colonna sonora per il viaggio di rientro da Parma e Marco Spotti aveva ragione sulla bellezza di questo lavoro.